F.A.Q Parigine - versione 3.0


"Riflessioni sul Musée d'Orsay", di Pierfrancesco Coli

 

“Seconda stella a destra, questo è il cammino e poi dritto fino al mattino, poi la strada la trovi da te, porta all’isola che non c’è …. e a pensarci che pazzia, è una favola, è solo fantasia e chi è saggio, chi è maturo lo sa, non può esistere nella realtà…”

 

Vi starete sicuramente chiedendo quale sia il nesso fra Parigi e l’isola che non c’è, allo stesso modo in cui mi sono chiesto quale sia il nesso fra una vecchia stazione ferroviaria ed un museo .. e a pensarci che pazzia, è una favola, è solo fantasia …

 

Con il genio e la fantasia si può fare tutto, l’unica regola è che non bisogna porre limiti ai propri sogni, perché ai sogni non c’è e non ci deve essere un limite: Gae Aulenti, uno degli architetti più creativi e geniali del nostro tempo, ha liberato la fantasia e l'ha portata fuori dagli schemi, ha iniziato a sognare senza ascoltare chi era saggio e maturo e le diceva che non poteva esistere nella realtà.

 

Ha trasformato il sogno in realtà, la vecchia stazione in uno dei musei più belli ed incredibili del mondo, l’unico forse ad essere esso stesso un’opera d’arte e a valere il prezzo del biglietto anche se fosse vuoto.

 

E’ un week-end mordi e fuggi a Parigi, il tempo è quanto mai tiranno, ma la voglia di andare al museo d’Orsay è tanta, troppa per rinunciarvi, anche se Carla continua a ripetermi che alla domenica c’è troppa gente e che forse non ne vale la pena; ma io sono testardo e così, alle 8.30 sono già in coda all’ingresso, 30 minuti prima dell’apertura, per poter anticipare la massa e godermi almeno qualche quadro in solitudine.

 

E mentre sono lì che aspetto, sotto un cielo grigio ed una leggera pioggerellina, penso alla stazione, al genio e alla pazzia di chi ha sognato di trasformarla in un museo, mi chiedo come sarà e se mi piacerà; ma ecco che finalmente si aprono i cancelli e si può entrare.

 

Sono il primo, come speravo … ma una volta dentro succede qualcosa di incredibile… per la prima volta in vita mia, entro in un museo e la prima cosa che mi colpisce è il museo stesso, cammino ammirandone la struttura, gli spazi ed il modo in cui sono stati usati, mi muovo da un angolo all’altro e continuo a guardare il museo, mi faccio prendere dalla fantasia e volo sull’isola che non c’è, e a pensarci, che pazzia, è una favola, è solo fantasia …

 

Ed i pensieri volano con me, mi immagino le persone che affollano la stazione, le voci e le urla, le corse dei bambini e le imprecazioni di chi ha perso il treno, e mi chiedo ancora una volta come qualcuno possa avere pensato di trasformare tutto ciò in un museo, in un luogo deputato al silenzio, alla tranquillità e alla meditazione.

 

E ripenso alla mia stazione, a quella che ho frequentato tutte le mattine per 15 anni, al suo colore rosa confetto (chissà cosa ne penserebbe Gae Aulenti …), agli amici, ai sogni di adolescente, ed ecco che mi vengono in mente altre stazioni, non più quelle dei pendolari, ma quelle frequentate da chi parte inseguendo un sogno sapendo che magari non tornerà più indietro, perché i sogni non ci aspettano ma vanno presi al volo, perché certi treni passano una sola volta e perderli non è bello.

 

Fra un sogno e l’altro apro gli occhi e rientro nel mondo reale, scopro che il museo è già pieno di gente, sono quasi le 10 ed ho passato un’ora seduto su una panchina ad ammirare il museo e a sognare con lui, a rendere omaggio al genio e alla creatività di chi lo ha pensato,

 

“Son d’accordo con voi, niente ladri e gendarmi, ma che razza di isola è, niente odio e violenza, né soldati né armi, forse è proprio l’isola che non c’è, che non c’è. Seconda stella a destra questo è il cammino e poi dritto fino al mattino, non ti puoi sbagliare perché quella è l’isola che non c’è, e ti prendono in giro se continui a cercarla, ma non darti per vinto perché chi ci ha già rinunciato e ti ride alle spalle, forse è ancora più pazzo di te”

 

E poi c’è la visita alle opere esposte nel museo, ma questa è una storia che dura, nel mio caso, circa 6 ore e se vi descrivessi tutte le emozioni che ho vissuto in quelle 6 ore … beh, allora di mestiere farei lo scrittore e vi toglierei tutto il gusto di gustarle con i vostri sensi ed il vostro cuore.

 

In chiusura un grazie speciale ad Edoardo Bennato per i versi de “L’isola che non c’è”: non so spiegarne il motivo, ma quando sono entrato nel museo ho iniziato a fischiettare quella canzone e non sono più riuscito a levarmela dalla mente, probabilmente sarò l’unico pazzo che la canticchiava (rigorosamente sottovoce !!) davanti ai capolavori di Monet e Van Gogh … ma chi ci ha già rinunciato e mi ride alle spalle, forse è ancora più pazzo di me.